Il Museo del Novecento e SEA hanno firmato un accordo che porterà in prestito alcune opere del museo all’Aeroporto di Malpensa per essere esposte gratituitamente al pubblico.
Questa bella iniziativa di Arte Pubblica parte con l’Idea del Cavaliere, scultura tra le più note e apprezzate di Marino Marini (1901-1980), che fino al 31 agosto 2014 accoglierà i passeggeri che attraverseranno la Porta di Milano, lo spazio espositivo tra l’ingresso del Terminal e la stazione ferroviaria.
L’opera
Realizzata da Marino Marini nel 1955, la scultura Idea del Cavaliere fa parte di un complesso di cinque opere dedicate al medesimo soggetto, tra le quali si annovera una versione in gesso policromo conservata presso i Musei Vaticani.
La rappresentazione del binomio cavallo/cavaliere interpreta un interesse costante nella produzione di Marini.
A partire dalla prima elaborazione del 1935 l’artista tornò più volte sul tema dando vita, nel corso degli anni, a una serrata sequenza di sculture e pitture. Nata come indagine antiretorica intorno alla vitalità della millenaria tradizione monumentale della figura a cavallo, la serie si impone nel quadro della storia della scultura italiana del Novecento quale ragionamento strutturale sulle forme della scultura.
Nel succedersi progressivo di variazioni, Marini esplora la combinazione dei corpi tradendo una cultura visiva in grado di nutrirsi di volta in volta di molteplici referenti, dal recupero delle formule classiche e primitive, alla ripresa dei profili stondati dei cavallini cinesi del Musée Guimet, sino a guardare con interesse alle concitate battaglie di Delacroix o alle drammatiche torsioni di Rodin.
In questo contesto Idea del Cavaliere incarna una fase di ricerca significativa. Interpretata dalla critica per lo più in chiave esistenziale, insistendo sull’ipotesi di un indurimento della composizione seguito all’esperienza tragica della guerra, l’opera si colloca entro un dialogo stringente con la contemporaneità.
Come ebbe modo di sottolineare lo stesso Marino Marini nel 1958 “Quando si considerano l’una dopo l’altra le mie statue equestri di questi ultimi dodici anni, si osserva ogni volta che il cavaliere è incapace di domare il cavallo e che la bestia, nella sua angoscia sempre più selvaggia, diventa più rigida, invece di impennarsi. Credo proprio sul serio che stiamo andando verso la fine di un mondo”.
La semplificazione delle masse in spigoli, triangoli e traiettorie oblique, assieme al vigoroso convergere delle figure, lì dove individuano l’indiscutibile riferimento a Picasso, riaprono il dialogo con la lezione di Arturo Martini. Su questi presupposti si innestano nuove suggestioni: come il fascino per i volumi energici dello scultore britannico Henry Moore, evidente nella tensione introdotta dalla rotazione della testa sul corpo del cavaliere.
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