Fino al 28 giugno 2014, la Fondazione Mudima di Milano (via Tadino 26) ospita una personale di Fabrizio Plessi che indaga gli anni Settanta, un periodo estremamente proficuo e di grande progettualità nell’evoluzione del suo linguaggio artistico.
Curata da Marco Meneguzzo, l’esposizione che segna il ritorno di Plessi a Milano, ripercorre la storia di un decennio che ha visto l’autore reggiano affermarsi nel panorama dell’arte internazionale, nel quale Plessi abbandona gli strumenti tradizionali del creare, adottando il video e l’installazione come cifra caratteristica del proprio lavoro, e scegliendo l’acqua come soggetto esclusivo di tutta la sua ricerca espressiva, di ogni suo progetto e di ogni suo singolo disegno.
Sono anni in cui Plessi progetta e crea delle videoinstallazioni rimaste famose per la storia della video-arte non solo italiana.
Tra queste spiccano due lavori fondamentali: la prima, la “Gabbia d’acqua”, esposta alla Biennale di Venezia del 1972 e mai esposta a Milano, che presenta una piramide in ferro, alla cui cuspide è sospesa una gabbia cubica che contiene acqua colorata, in cui ricorda Marco Meneguzzo, “al di là dell’aspetto paradossale – la gabbia apparentemente aperta che contiene l’incontenibile – è la presenza fisica, la ‘pesantezza’ visibile e addirittura ostentata dell’oggetto che contrasta con la fluidità dell’acqua, con l’idea dello ‘scorrere’, del passare”.
La seconda, “Crazy Pool” vede all’interno di una canoa in legno, allestita nella piscina vuota al piano inferiore della Fondazione Mudima, agitarsi un mare elettronico diffuso dagli schermi di televisori, in cui il video restituisce una percezione fredda e fluida, analoga a quella dell’elemento acquatico che ha scelto, ma tutt’altro che narrativo, come vorrebbe il medium utilizzato.
Sottolinea ancora Marco Meneguzzo che “Plessi non usa il video per narrare, ma per esprimere, ed è molto difficile trovare nei suoi lavori che implicano l’uso del video anche il minimo accenno narrativo, mentre è quasi sempre utilizzato accanto e a contrasto di altri elementi, primo fra tutti l’acqua di cui sfrutta l’ambiguità percettiva”.

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