Gli italiani si voltano, recita il titolo di una celeberrima sequenza fotografica di Mario De Biasi: è il 1954 e una giovane Moira Orfei fasciata di bianco cammina nel centro di Milano, inchiodando gli occhi dei passanti come una calamita. Senza questa serie, forse non avremmo visto la passeggiata di Monica Bellucci-Malena nella Sicilia di Tornatore. Ma quello che De Biasi probabilmente non sapeva è che i suoi scatti avrebbero fatto voltare mezzo mondo, senza distinzioni di sesso e nazionalità. Come al Guggenheim Museum di New York, dove quel Belpaese da fotoromanzo divenne la copertina della mostra The Italian Metamorphosis 1943-1968.
Legare a una sola sequenza la memoria di un gigante della fotografia è certamente riduttivo: lo scopriremo a Venezia, in una grande mostra allestita alla Casa dei Tre Oci. A cura di Enrica Viganò, Mario De Biasi. Fotografie 1947-2003 è il frutto uno scavo certosino compiuto nell’immenso archivio del reporter. Oltre 250 immagini, metà delle quali inedite e vintage, ripercorrono una carriera lunga e avventurosa. L’Italia devastata dalla guerra e in volo verso il boom economico, i grandi eventi del Novecento, i viaggi esotici e le scene di vita quotidiana, le icone del cinema e del jet-set “in maniche di camicia” si rincorrono in un racconto trasversale pieno di freschezza e sensibilità, lungo la vita di un uomo e le vicissitudini di mezzo secolo.
Per De Biasi la fotografia fu un incontro casuale: galeotto fu un manuale ritrovato tra le macerie dei bombardamenti di Norimberga dove, orfano e ultimo di cinque figli, era stato mandato al lavoro coatto come radiotecnico. Otto anni dopo inizia la sua avventura di fotoreporter con il settimanale Epoca. Risale a questo periodo lo straordinario reportage sull’insurrezione ungherese del ’56, quando, unico fotografo europeo con Erich Lessing, rimane per ore in mezzo al fuoco dei rivoluzionari, documentando in immagini crude e senza retorica l’ingresso a Budapest dei carri armati sovietici, i massacri, la rabbia, i morti impiccati per le strade e il dolore della popolazione. Tutto questo ha un prezzo: una pallottola lo ferisce a una spalla e lui diventa per tutti “l’italiano pazzo”.
Il fegato certo non gli manca. Nel 1964 segue Walter Bonatti nella famosa spedizione in Siberia, verso il “Polo del Freddo”. Per fotografare un cavallo coperto di ghiaccio a 65 gradi sotto zero rischia il congelamento: “Mi avrebbero amputato le orecchie se non ci fosse stato Bonatti a salvarmele con un energico massaggio”, racconterà.
Instancabile viaggiatore e osservatore del mondo, De Biase fotografa conflitti armati, eruzioni vulcaniche, baci, giochi e volti di strada, da New York al Cairo, da Roma a Teheran, dalla Thailandia al Brasile, da Israele all’India. “Dovunque s’incontra la vita s’incontra la bellezza”, dice. “Basta guardarsi attorno per vederla: anche in una foglia, in un sasso, in un balcone fiorito. Anche nei riflessi in una pozzanghera”.
Nelle sale della Casa dei Tre Oci ne riscopriamo l’occhio e l’umanità. Anche i ritratti rubati alle celebrities in occasione del Festival del Cinema di Venezia hanno il potere di svelarci qualcosa di speciale: dalla civetteria scanzonata di Brigitte Bardot all’intimità dei coniugi Fellini in gita lungo i canali, fino alla risata argentina di Maria Callas che prorompe – e sembra quasi di sentirne il sonoro – davanti a una tazzina di caffè italiano.
Photo: Gli italiani si voltano, Milano, 1954 © Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira, Milano

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