Nato nel 1993, il collettivo biellese Cracking Art ha sempre agito con l’idea di cambiare la storia dell’arte attraverso un forte impegno sociale e ambientale unito all’uso rivoluzionario di materiali plastici. Oggi il gruppo torna sulla scena contemporanea con una grande installazione inedita e allestita negli spazi dell’azienda tessile Tollegno 1900 a Tollegno in provincia di Biella. Intitolata La natura che non c’era e visitabile fino al 20 novembre 2021, il movimento realizza per la prima volta un’opera che non raffigura il mondo animale ma quello vegetale. Il progetto site-specific si compone infatti di oltre 400 elementi floreali bianchi realizzati in plastica rigenerata e collocati nella cosiddetta Sala Luce dell’edificio industriale, tra i quali spicca un soggetto centrale di due metri e mezzo di altezza e un metro e mezzo di diametro. Ogni fiore è un pezzo unico e la materia di cui è composto è stata modellata a mano, permettendo alla plastica di diventare un ingrediente duttile, mai uguale, e abbandonare quell’impronta monotona e ripetitiva che la contraddistingue per antonomasia.
L’assenza di serialità, tipica della produzione di Cracking Art, viene letta, nella sua accezione più ampia, come segno di una nuova natura, plasmata dall’uomo, che rinasce sotto forma diversa e che si riappropria di peculiarità e aree troppo spesso legate a un processo di sfruttamento, controllo e sottomissione. Una nuova natura, rigogliosa e vitale, caparbia e tenace, testimone dell’esigenza preponderante di stabilire una riconciliazione tra l’essere umano e ciò che egli stesso crea, pensa, produce. E non a caso il luogo selezionato per accogliere il progetto ben si armonizza con ciò che l’opera vuole comunicare ai visitatori: una sala industriale, che ricorda quasi un edificio di culto, inondata dalla luce che entra dalle grandi finestre presenti sui due lati lunghi. Un’opera che, grazie al recupero e alla trasformazione del materiale plastico, indaga il rapporto tra natura e tecnologia, unicità e stereotipo, per interrogarsi sul concetto di sostenibilità e tutela ambientale.
Del resto il movimento, attraverso la propria ricerca, ha sempre posto in evidenza la stretta correlazione tra vita naturale e realtà artificiale. Tanto più che il termine Cracking Art deriva dal verbo inglese to crack che significa rompersi, cedere, crollare, incrinarsi, spezzarsi, ma con il nome cracking è indicata anche la reazione chimica che trasforma il petrolio grezzo in plastica.
Ecco allora che le opere sono realizzate per favorire una riflessione sull’efficacia della rigenerazione, espressa con azioni performative coinvolgenti in cui le installazioni urbane fuori scala – di solito riproduzioni di animali colorati in plastica riciclabile – vanno a occupare luoghi disparati, da quelli deputati all’arte a quelli della vita quotidiana. Celebre appunto la partecipazione del collettivo alla Biennale di Venezia del 2001 con 1200 testuggini in plastica dorata che uscivano dal mare e invadevano l’area dei Giardini per simboleggiare una natura minacciata dall’uomo.

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