Terminata ormai la pausa estiva, Skart Magazine riprende il racconto sulle più interessanti mostre di arte contemporanea in programma nei prossimi mesi in Italia. E ricomincia partendo dalla Fondazione Ferrero di Alba che ospiterà di nuovo un’eccezionale rassegna antologica di livello internazionale, dopo le retrospettive dedicate a Giacomo Balla, Felice Casorati e Carlo Carrà. A riempire la scena in autunno sarà infatti la genialità poetica e l’arte informale di Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), uno dei grandi protagonisti dell’arte del Novecento.
Emblematico il titolo del progetto espositivo – Burri. La poesia della materia – che sembra suggerire come il fare poetico non sia appannaggio esclusivo della scrittura in versi, ma di ogni altro linguaggio (dalla pittura alla musica) capace di dare risalto all’essenza più profonda della realtà. Impossibile allora non ricordare l’affermazione di Giuseppe Ungaretti, uno delle voci oracolari più preziose del XX secolo, a proposito del maestro umbro: “Amo Burri perché non è solo il pittore maggiore d’oggi ma è anche la principale causa d’invidia per me: è d’oggi il primo poeta”.
Organizzata in collaborazione con la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, l’esposizione sarà visitabile dal 9 ottobre 2021 al 30 gennaio 2022 gratuitamente, confermando ancora una volta il mecenatismo come uno degli elementi sostanziali e distintivi della famiglia Ferrero.
Presenti in mostra circa quarantacinque opere, tra cui lavori di notevoli dimensioni, inserite in un allestimento studiato opportunamente per gli spazi della Fondazione Ferrero e ripartite in otto sale complessive. L’insieme ripercorre una parabola temporale che va dal 1945 con i primi Catrami (1948) fino alle ultime produzioni Oro e nero del 1993. Ad aggiungersi anche alcune delle esordienti prove artistiche di Burri, ascrivibili ai cicli dei catrami, delle muffe, dei sacchi, delle combustioni, dei legni, dei ferri, delle plastiche, dei tessuti, del caolino, del vinavil, delle colle e della pietra pomice: capolavori basilari per la pittura contemporanea che acquisiscono il nome dei materiali che l’artista ha utilizzato per realizzarli.
Tanto che, nel sottolineare il rapporto tra Burri e la poesia, la retrospettiva canalizza il focus della sua originale riflessione proprio sulla materia, fonte inesauribile di sperimentazioni e processi creativi. È una materia, quella di Burri, che si anima di una genialità che prima non aveva, poiché l’artista le conferisce una forma, una dimensione e una spazialità. Il nero è il suo colore intimo, i materiali poveri e obsoleti, chiaro rimando al periodo difficile in cui, in qualità di ufficiale medico in Africa durante la Seconda Guerra Mondiale, prese confidenza con la pittura per dare un senso, o un valore, alla reclusione vissuta nei campi di prigionia, prima in Inghilterra, poi negli Usa e infine in Texas, a Hereford. Ecco allora che l’opera è osservata come un laboratorio di sperimentazione incessante che, con la sua ricerca sulla riqualificazione linguistica, ha anticipato alcune delle questioni che hanno interessato le correnti artistiche degli anni Sessanta del Novecento quali il Nouveau Réalisme, l’Arte Povera, l’Arte Neuminimale e il Flexus.
In contemporanea alla mostra allestita alla Fondazione Ferrero, negli spazi di Palazzo Banca d’Alba, nel centro storico di Alba, è possibile visitare un’altra esposizione: Burri. Il Cretto di Gibellina. Un omaggio all’imponente opera di land art e site-specific che il maestro creò a Gibellina, il paese siciliano distrutto dal terremoto del Belice nel 1968. Concepita e avviata tra il 1985 e il 1989, e conclusa nel 2015 dopo la sua morte, consiste in una colata di cemento bianco capace di inglobare e trasformare le macerie della città vecchia in una sorta di sudario ideale in memoria dell’evento catastrofico. Tra le più estese al mondo, l’opera copre un’ampiezza di 80mila metri quadrati.

Lascia un commento